La strada italiana per l’uscita dalla recessione

recessione

 

Passione, ricerca incessante della qualità, conoscenza completa del processo, dialogo e conoscenza dei desideri del mercato, rapporto intenso con il proprio lavoro…

Questi sono gli ingredienti base dell’artigianalità. Ma non pensiamo ad un piccolo mondo antico, ormai scomparso e che non tornerà, popolato da persone con le mani sporche di grasso…pensiamo alle aziende, anche di grandi dimensioni che, con questi valori, hanno costruito mission e successo in Italia e nel mondo.

E l’Italia, per fortuna, di queste realtà ne è ricca. Molto ricca. Dal Rinascimento in poi l’eccellenza italiana di “bottega” ha sempre fatto, ovunque, scuola. Forse non siamo tanto bravi per DNA a creare grandi aziende, ma aziende “artigiane” nell’anima, mosse dalla passione sì.

Stefano Micelli, docente di Economia a Ca’ Foscari, riprendendo e rielaborando le tesi di Richard Sennet in “The craftsman” ha affrontato il tema nell’interessantissima opera “Futuro artigiano” (I Grilli, Marsilio).

Certamente scoprirsi o riscoprirsi “maker” permette di riappropriarsi di una sfera importante del proprio rapporto con il lavoro e con il piacere, per molti dimenticato, che esso può dare.

Micelli pone una domanda cruciale: “Che senso può avere un rilancio della figura dell’artigiano nei numeri di un’economia sempre più globale?”
Fornisce egli stesso una risposta chiave: “…quanto più un servizio ha caratteristiche di impersonalità, tanto più sarà a rischio, come lo sono le produzioni industriali standard.”

Certamente infatti è pensabile trasferire la catena di montaggio di una fabbrica di automobili in un Paese a minore costo del lavoro, ma la produzione di eccellenza artigiana di Venini o di Barovier e Toso, mastri vetrai di Murano celebrati nel mondo intero, difficilmente potrà migrare in Cina.

L’Italia dispone di un tessuto di imprese e di maestranze con immense competenze: la storia dei nostri “distretti industriali”, un modello tutto italiano, pur tra alterne fortune, cadute e rinascite, custodisce questo sapere che può e deve attrarre anche i grandi gruppi internazionali.
Sulle rive del Brenta, infatti e non a caso, Louis Vitton, da tempo, ha deciso di avvalersi dell’antica tradizione del luogo nella realizzazione di scarpe artigianali di altissima qualità, creando un atelier che rappresenta un vero e proprio centro di eccellenza.

Su Il Sole 24 Ore di sabato 20 settembre, Angela Flaccavento, nel descrivere la Settimana milanese della Moda, titola “Da Tod’s i virtuosismi del savoir-faire italiano”.

Ma l’Italia non è solo moda, Enzo Ferrari riferendosi scherzosamente ai cilindri dei suoi motori affermava che nessuno sapeva fare i buchi meglio di lui. Ed aveva certamente ragione dato che il Cavallino è il brand più conosciuto e apprezzato del mondo.

E la lista degli esempi potrebbe essere infinita.

Micelli conclude con l’indicazione che il Paese diventi promotore di una nuova “idea di lavoro e di qualità a livello internazionale”.

Ce la possiamo certamente fare.

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