Ma la sfida dell’industria 4.0 non è solo quella di acquistare nuovi macchinari

di Sandro Trento, direttore di Fondazione Ergo,
Professore di Economia e Management presso l’Università di Trento

industrial

 

Si inizia a discutere finalmente della necessità di ammodernare le imprese, il sistema produttivo e il sistema di formazione per poter cogliere le opportunità fornite dalla quarta rivoluzione industriale, o come viene spesso denominata dall’Industria 4.0.

Il governo ha presentato un piano Industria 4.0 che si focalizza su tre direttrici fondamentali:

  • incentivi fiscali finalizzati a promuovere un recupero di produttività;
  • coinvolgimento e fondi per alcune università per diffondere la nuova manifattura innovativa (le eccellenze individuate dal governo sono i Politecnici di Milano, Torino, Bari, la Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa e l’Università di Bologna);
  • potenziamento dell’infrastruttura di comunicazione e quindi ciò dovrebbe significare costruzione della banda ultralarga (6,7 miliardi stanziati per le imprese).

Si tratta di un piano importante e utile. Utile innanzitutto perché finalmente si torna a parlare di politiche di medio termine per l’industria e perché si chiamano a raccolta molti soggetti interessati: le imprese, le associazioni produttive, il sistema formativo, il sindacato, oltre al governo.

L’impressione che si ha, tuttavia, è che nel dibattito corrente la sfida dell’Industria 4.0 possa venire  ridotta a un problema di acquisto e di utilizzo di “nuove macchine” e a maggiore spesa per la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti. Molta enfasi, viene attribuita infatti agli strumenti di incentivazione come il nuovo iper-ammortamento al 250%, la proroga per un anno delle agevolazioni per gli ammortamenti con un’aliquota al 140%, e altri interventi riguardano le start up, come la detrazione fiscale al 30% per investimenti fino a un milione.

Il rischio è che si riduca la sfida della quarta rivoluzione industriale agli aspetti di puro inserimento in azienda di questo o quel nuovo macchinario, siano le stampanti 3D o nuovi sistemi di monitoraggio digitale della produzione.

La quarta rivoluzione industriale, in realtà, è qualcosa di molto più vasto e complesso. Le analisi condotte nei paesi più avanzati ci suggeriscono che i risultati dell’Industria 4.0 in termini di produttività, di innovazione, di competitività possono essere colti solo se avvengono almeno tre cambiamenti simultanei: adozione delle nuove tecnologie; cambiamento dei modelli organizzativi e dei processi aziendali; miglioramento significativo della qualità della forza lavoro.

La semplice introduzione di nuovi macchinari (per quanto avanzati, per quanto intelligenti e auto-controllati) non è sufficiente a trasformare il modo di funzionare delle singole aziende e delle filiere produttive. Vanno ripensati e riprogettati i processi produttivi per consentire da un lato un vero controllo decentrato sulle tecnologie, sui prodotti, sulla qualità; e dall’altro per dialogare davvero con tutta la filiera produttiva (fornitori, società di servizio, clienti etc.). Uno dei nodi cruciali è quello dell’introduzione di nuovi workplaces che assegnino ai dipendenti molta più discrezionalità decisionale, molto più controllo decentrato sulle fasi lavorative.

La data-driven economy che nasce con la quarta rivoluzione industriale si basa essenzialmente sulla capacità di utilizzare la enorme mole di dati raccolti (grazie alle nuove tecnologie) per prendere decisioni molto più rapide e molto più accurate.

Servono quindi modelli organizzativi nuovi, meno verticali, più orientati ai risultati, più articolati e decentrati e servono dipendenti in grado di prendere queste decisioni, di partecipare attivamente al processo. In questa logica vanno ridisegnate le stesse postazioni di lavoro.

La sfida, insomma, è molto più grande che non l’acquisto di una macchina avanzata. La semplice introduzione di nuove macchine, in assenza di un cambiamento organizzativo e di un profondo re-training dei dipendenti, rischia di non favorire alcun recupero di produttività, ma anzi potrebbe anche avere effetti negativi. Nuove macchine inserite in vecchie organizzazioni non trasformate potrebbero interrompere routine consolidate, ritardare le decisioni, generare colli di bottiglia, con effetti perversi sui risultati.

Come Fondazione ERGO da anni siamo impegnati nell’opera di sensibilizzazione e di diffusione di nuove pratiche aziendali tra le imprese italiane.

Abbiamo avviato BellaFactory, un programma di certificazione della qualità dei processi produttivi che è volto proprio a diffondere le nuove pratiche produttive, organizzative e di lavoro.

E’ fondamentale che a fianco dei giusti incentivi all’acquisto delle nuove macchine, e degli investimenti in infrastrutture si avvii al più presto una sensibilizzazione sugli aspetti organizzativi e di formazione.

La Fondazione ERGO è a disposizione del sistema produttivo italiano per favorire questa trasformazione complessa ma piena di opportunità.