Dal contratto dei metalmeccanici al senso del nuovo ruolo del lavoratore 4.0

worker

 

“La sfida della quarta rivoluzione industriale con l’interconnessione delle varie scienze al servizio dell’organizzazione del lavoro richiede necessariamente un ruolo attivo, vivo e partecipe dei lavoratori. Ci troviamo in una condizione in cui il bagaglio professionale e formativo deve essere riadeguato ai nuovi scenari. E l’opportunità di crescita è un aspetto arricchente nella vita del lavoratore.” commenta così Ferdinando Uliano (Segretario nazionale Fim-Cisl), a pochi giorni dal rinnovo del contratto dei metalmeccanici, parlando di come sta evolvendo la figura del lavoratore in fabbrica.

Si, il lavoratore sarà una figura evoluta (ed è questo uno degli elementi più critici della trasformazione), avrà molta più discrezionalità decisionale, più controllo decentrato sulle fasi lavorative. Servono quindi per questo modelli organizzativi nuovi, meno verticali, più orientati ai risultati, e lavoratori in grado di partecipare attivamente al processo, che deve essere quindi definito e standardizzato.

La rivoluzione industriale ci fa pensare che il futuro del lavoro è molto più che la semplice e generica automazione. Se è vero che un compito ripetitivo potrà essere eseguito in modo più economico, più veloce e qualitativamente meglio da un robot è anche vero che è saranno proprio le macchine a spingere l’uomo verso la specializzazione in quelli che potremmo definire i nostri vantaggi competitivi: più lavoro “umano” basato su intelligenza creativa, sociale ed interpersonale, questi saranno gli elementi che consentiranno all’uomo di resistere e adattarsi al cambiamento in maniera propositiva.

Certo, la sfida è grande. I giovani dovranno prepararsi perché le skills richieste per lavorare in fabbrica saranno maggiori, sarà necessario saper gestire i big data, analisi complesse e comandare tecnologie sempre più sofisticate, ma nasceranno certamente nuovi posti di lavoro più qualificati e più remunerati.

L’accesso equo a questa opportunità passa anche dai contratti, dalla volontà comune di condividere e generare valore economico e sociale. L’accordo relativo al CCNL dei metalmeccanici, anche se siglato dopo un lungo e periglioso percorso, contiene questo spirito.

Il nuovo contratto di lavoro per il settore metalmeccanico è di portata storica, entrano a pieno titolo i concetti di impresa come bene comune e vengono posti da parte gli elementi di carattere antagonistico; contiene importantissimi elementi nuovi anche sotto il profilo del welfare e della centralità della persona.

In particolare due sono gli elementi salienti che lo contraddistinguono: sul piano delle relazioni industriali, la maggiore decentralizzazione contrattuale che potrebbe facilitare la sperimentazione di pratiche organizzative innovative e più adatte alle esigenze produttive specifiche delle aziende, offrendo allo stesso tempo maggiore flessibilità nell’adozione degli schemi retributivi.

Secondo Boccia «l’accordo conferma l’idea che il contratto nazionale diventa un contratto con una dimensione regolatoria, spinge sui contratti aziendali legati molto alla produttività e verso un metodo che è la collaborazione per la competitività interna alle fabbriche» «aggiunge un’idea su cui confrontarci a livello complessivo sulla questione industriale del Paese». 

«In azienda si deve distribuire la ricchezza che si produce» spiega il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi.

Quello che ora serve è spingere sulla contrattazione di secondo livello per favorire lo scambio salari-produttività, ma l’aspetto che riteniamo cruciale come Fondazione Ergo è la necessità di saperla misurare scientificamente in modo condiviso. Alla base devono esserci sistemi di misurazione del lavoro che siano standard riconosciuti da tutte le parti.

Agire direttamente sul piano della produttività e della competitività, attraverso contratti di secondo livello consente la tenuta del sistema industriale italiano e di contrastare eventuali scelte imprenditoriali di delocalizzazione oltre che impatti negativi a livello di occupazione italiana.

Il secondo aspetto è forte investimento in formazione del capitale umano, con il riconoscimento, per la prima volta, di un diritto soggettivo all’aggiornamento delle competenze dei lavoratori. Le parti considerano strategico l’investimento sui lavoratori, per aggiornare, perfezionare o sviluppare conoscenze e competenze professionali.

A questo si aggiunge poi il tema del welfare aziendale (non solo mutualità sotto forma di fondi di previdenza e assistenza sanitaria complementari, ma opzioni più ampie e personalizzabili sulla base delle effettive esigenze del lavoratore) e percorsi di apprendimento continui per preparare la forza lavoro al nuovo lavoro 4.0.

Il segretario della Uilm, Rocco Palombella, ci spiega “Il Welfare è un elemento centrale del contratto, sono state create tutele diversificate, la sanità integrativa ed una parte consistente legata al problema della sicurezza stabilendo le mappe di rischio e dei sistemi di rilevazione dei quasi infortuni.”

Le relazioni industriali sono soprattutto la capacità del sindacato di intercettare le ragioni profonde del cambiamento organizzativo della società industriale all’interno e al di fuori delle fabbriche, questa volta l’obiettivo di accrescere la competitività interna delle aziende, è stata condivisa unitariamente dalle parti sociali. Ora starà alle aziende usare questa opportunità e farne una leva di crescita interna.